Lo ha confermato il TSAP (sentenza 23/2016) rigettando l’appello proposto da un Comune contro la sentenza del Trap Piemonte (sentenza 2120/13) che lo aveva condannato a restituire le somme già versate da una impresa idroelettrica.

Si tratta di una decisione rilevante per il settore delle fonti rinnovabili, nel quale stenta a sradicarsi l’impropria prassi della conclusione di accordi con i Comuni che hanno quale scopo unico o principale la deviazione verso l’ente locale di parte delle incentivazioni riconosciute dallo Stato alla produzione di energia pulita, quale implicita contrapartita alla rinuncia dei Comuni a contestare la localizzazione degli impianti.

Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (la controversia aveva ad oggetto un impianto idroelettrico, ma le questioni di diritto trattate e risolte sono perfettamente applicabili anche al settore eolico, fotovoltaico e comunque a tutte le fonti rinnovabili) ha definitivamente statuito la nullità delle convenzioni e delle clausole che prevedono la corresponsione di royalties a favore dei Comuni, dichiarate prestazioni patrimoniali “prive di causa”, diverse da quelle sole e tassative ammesse per legge (quali l’IMU, o, nel caso degli impianti idroelettrici, i canoni e sovracanoni per l’uso delle acque), distorsive della concorrenza, lesive della liberta di impresa e in contrasto con la disciplina comunitaria.
Gli avvocati Mario Bucello e Simona Viola, che hanno assistito l’impresa contro il Comune, hanno dichiarato: “è importante che la giustizia amministrativa abbia definitivamente sanzionato con la nullità questo genere di pattuizioni, ingiuste e ingiustificate, cui gli operatori sono stati soprattutto in passato, ma talvolta sono ancora oggi, costretti a piegarsi. E’ un malcostume che fatica ad essere del tutto estirpato, anche perché sono purtroppo note le difficoltà finanziarie in cui si dibattono i Comuni, esposti alla tentazione di negoziare l’azione amministrativa, nonostante il chiaro divieto normativo, esigendo il versamento di royalties sulla produzione (o comunque il pagamento di cospicue somme, anche se sganciate dalla produzione). Ma si tratta di una risposta sbagliata ad un problema reale: le comunità locali non possono accudire i loro pur legittimi interessi intercettando e deviando dal loro scopo quote di incentivi funzionali al perseguimento di obiettivi di politica industriale di dimensione sovranazionale. Né gli investitori stranieri capiscono le ragioni di tali arbitrari balzelli, che, ponendosi in antitesi con l’incentivazione, contribuiscono ad attribuire una connotazione schizofrenica all’ordinamento italiano. Sentenze come quest’ultima aiutano a ristabilire il primato delle regole, contro la perdurante diffusa indulgenza nazionale per pratiche disinvolte, derubricate eufemisticamente ad esercizi di creatività: anche quando animata da nobili intenzioni, la violazione delle regole è sempre, per la collettività, un’operazione a saldo negativo”.