La fecondazione eterologa è parte del diritto costituzionale alla salute e, come tale, non può essere discriminata dal Servizio sanitario rispetto a quella omologa.

 

Con la sentenza sotto riprodotta il TAR Milano ha annullato le delibere con cui la Regione Lombardia, all’indomani della dichiarazione di incostituzionalità del divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa introdotto dalla legge n. 40 del 2004, aveva stabilito che i costi della prestazione, a quel punto diventata lecita, sarebbero rimasti per intero a carico degli assistiti.

La conclusione si fonda su due argomenti e su una premessa di base: i primi e l’ultima, però, non possono essere del tutto compresi nella loro portata se non partendo dall’esame delle motivazioni con le quali la Giunta regionale aveva cercato di giustificare le sue scelte.

Nella delibera del 12 settembre 2014, in particolare, la Giunta si era limitata a invocare il non ancora intervenuto inserimento della fecondazione eterologa nel novero dei c.d. LEA (livelli essenziali di assistenza), circostanza questa di per sé reputata sufficiente a sorreggere la conclusione secondo cui i relativi costi sarebbero dovuto rimanere appunto a carico degli assistiti; nella successiva delibera del 7 novembre 2014, poi, la Giunta, richiamando un documento nel frattempo concordato nell’ambito della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e ribadendo il suo rifiuto di coprire i costi dell’intervento con propri fondi di bilancio, aveva individuato gli importi che gli assistiti lombardi avrebbero dovuto versare alla Regione, che poi li avrebbe girati alle Regioni o Province di competenza, qualora avessero decisero di avvalersi di un centro specializzato extraregionale.

L’amministrazione regionale, in altri termini, aveva sì dichiarato apertamente i propri intendimenti, ma non aveva spiegato perché avesse optato per il non finanziamento di questa particolare tipologia di prestazione sanitaria.

In questo contesto, e veniamo così alla premessa, il TAR ha anzitutto affermato che il formale inserimento nei LEA è condizione sufficiente affinché un intervento assistenziale sia finanziato dal Servizio sanitario pubblico, ma non condizione necessaria: se si tratta di intervento giudicato indispensabile per la tutela della salute, esso deve essere comunque erogato al paziente con costi a carico dell’erario (fatto salvo l’eventuale ticket) a prescindere da quanto deciso dal Governo in materia di LEA.

Un ragionamento di questo tipo è ormai consueto nella giurisprudenza che si occupa di questioni sanitarie, come dimostra – a tacer d’altro – l’analogo orientamento solitamente seguito in relazione alla somministrazione a carico del Servizio sanitario di farmaci ritenuti imprescindibili e non sostituibili per la cura di gravi patologie.

Data questa premessa, il TAR sostiene poi che la fecondazione eterologa costituirebbe una prestazione necessaria per assicurare il soddisfacimento di due diritti fondamentali dell’individuo, quello alla salute (sotto il profilo del benessere psico-fisico) e quello all’autodeterminazione della propria sfera di relazioni private, e che, pertanto, la sua erogazione con costi a carico della collettività dovrebbe essere assicurata dallo stesso legislatore e, a maggior ragione, dall’amministrazione.

Anche in questo caso, a ben vedere, nulla di particolarmente innovativo, perché è da tempo (come dimostrano le sentenze sul caso Englaro) che la giurisprudenza ha dimostrato di saper percepire i risvolti per così collettivistici dell’affermazione di diritti individuali molto avanzati sotto il profilo etico e sociale.

Si giunge infine all’ultimo argomento utilizzato dal TAR, che la sentenza sembra voler mettere in secondo piano, ma che, a mio avviso, rappresenta il vero fulcro attorno cui si muove l’intera pronuncia: il TAR ha addebitato in sostanza alla Regione di aver introdotto (senza alcuna motivazione, aggiungo io) una palese discriminazione fra fecondazione eterologa e fecondazione omologa, quest’ultima da tempo erogata a titolo gratuito in Lombardia nonostante neanche essa risulti formalmente inserita nei LEA. (NB)

 

TAR Milano, Sez. III, sentenza n. 2271 del 2015

 

FATTO

Con ricorso notificato in data 14 novembre 2014 e depositato il 28 novembre successivo, l’Associazione ricorrente ha impugnato le deliberazioni della Giunta Regionale della Lombardia del 12 settembre 2014, n. X/2344, recante determinazioni in ordine all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) di tipo eterologo (in B.U.R.L. 16 settembre 2014), e del 7 novembre 2014, n. X/2611, recante individuazione delle tariffe transitorie di riferimento per le prestazioni di procreazione medicalmente assistita (PMA) di tipo eterologo ai sensi della D.G.R. n. X/2344 del 12 settembre 2014.

Va premesso che la Regione Lombardia, con l’impugnata deliberazione del 12 settembre 2014, n. X/2344, in seguito alla sentenza della Corte costituzione n. 162 del 10 giugno 2014 – con cui è stata dichiarata, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui stabilisce per la coppia di cui all’art. 5, comma 1, della medesima legge, il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili – e in attesa di un intervento del Parlamento, ha stabilito di autorizzare le attività di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo presso i Centri PMA presenti sul territorio regionale, che già erano autorizzati a effettuare le attività di procreazione medicalmente assistita di tipo omologo; contestualmente sono state sospese le procedure per il rilascio di nuove autorizzazioni e accreditamenti a Centri al fine di svolgere le attività di procreazione medicalmente assistita.

Con la predetta deliberazione, nelle more dell’eventuale inserimento delle prestazioni riguardanti la fecondazione di tipo eterologo nei livelli essenziali di assistenza, è stato stabilito di porre a carico degli assistiti il costo delle prestazioni per la PMA di tipo eterologo e, con la successiva deliberazione 7 novembre 2014, n. X/2611, pure impugnata nella presente sede, sono state stabilite le relative tariffe (ricomprese tra 1.500 e 4.000 €); va precisato che per la PMA di tipo omologo gli assistiti sono assoggettati soltanto al pagamento di un ticket, restando in capo alla Regione il costo dell’intervento.

L’Associazione “SOS Infertilità” Onlus, quale soggetto operante nel settore della procreazione medicalmente assistita al fine di supportare e aiutare le coppie in condizioni di sterilità e infertilità, assume l’illegittimità delle impugnate deliberazioni regionali per violazione di plurime disposizioni costituzionali, per violazione degli artt. 4 e 5 della legge n. 40 del 2004 e per eccesso di potere sotto svariati profili.

Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Con l’ordinanza n. 1718/2014 è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati; con l’ordinanza n. 1486/2015, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha riformato la decisione cautelare di primo grado e sollecitato la fissazione dell’udienza di merito del ricorso.

In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della causa, le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive posizioni.

All’udienza pubblica del 24 settembre 2015, su conforme richiesta dei difensori delle parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare, va respinta l’eccezione formulata dal difensore della parte ricorrente in relazione alla tardività della memoria depositata dalla difesa della Regione Lombardia in data 24 luglio 2015, in quanto in seguito alla modifica dell’art. 54, comma 2, del cod. proc. amm. – che stabilisce i termini di sospensione feriale per il processo amministrativo dal 1 al 31 agosto (art. 20, comma 1-ter, del decreto legge 27 giugno 2015 n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132) – il termine di deposito delle memorie previsto dall’art. 73, comma 1, del cod. proc. amm., ossia trenta giorni liberi prima dell’udienza, risulta rispettato.

2. Passando al merito del ricorso, lo stesso è parzialmente fondato.

3. Con le diverse censure contenute nel ricorso, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connesse, si assume l’illegittimità delle determinazioni regionali impugnate nella presente sede, laddove si è stabilito di porre a totale carico degli assistiti il costo delle prestazioni per la PMA di tipo eterologo, di sospendere le procedure per il rilascio di nuove autorizzazioni e accreditamenti a Centri al fine di svolgere le attività di procreazione medicalmente assistita e di consentire l’accesso alla PMA soltanto nel caso in cui la sterilità o l’infertilità riguardi uno solo dei componenti della coppia e non allorquando si riferisca a entrambi.

3.1. Con riferimento alla determinazione regionale di porre a totale carico degli assistiti il costo delle prestazioni per la PMA di tipo eterologo, diversamente da quanto previsto per la PMA di tipo omologo – per la quale gli utenti sono tenuti al versamento del solo ticket, restando in capo alla Regione il costo dell’intervento –, le censure contenute nel ricorso sono fondate.

Innanzitutto non assume rilievo determinate la circostanza che la PMA, sia omologa che eterologa, non sia ricompresa formalmente nel D.P.C.M. che individua le prestazioni da qualificare livelli essenziali di assistenza, atteso che, se l’inserimento della prestazione nei LEA può avere un effetto costitutivo nella qualificazione della stessa, rendendone quindi doverosa l’erogazione su tutto il territorio nazionale alle medesime condizioni minime, il mancato inserimento nell’elenco non può determinare l’effetto opposto, considerato che va verificata in concreto l’appartenenza di una determinata prestazione al novero dei diritti fondamentali e, in caso affermativo, va certamente garantita nel suo nucleo essenziale a tutti i soggetti e su tutto il territorio nazionale.

A tal proposito appare opportuno richiamare la sentenza n. 162 del 2014 della Corte costituzionale che ha evidenziato come “la scelta di [una] coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come [la] Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso, è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le limitazioni di tale libertà, ed in particolare un divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall’impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango”. Inoltre la tematica in esame è altresì riconducibile al “diritto alla salute, che, secondo la costante giurisprudenza [della] Corte, va inteso «nel significato, proprio dell’art. 32 Cost., comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica» (sentenza n. 251 del 2008; analogamente, sentenze n. 113 del 2004; n. 253 del 2003) e «la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute fisica» (sentenza n. 167 del 1999). Peraltro, questa nozione corrisponde a quella sancita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale «Il possesso del migliore stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano» (Atto di costituzione dell’OMS, firmato a New York il 22 luglio 1946).

In relazione a questo profilo, non sono dirimenti le differenze tra PMA di tipo omologo ed eterologo, benché soltanto la prima renda possibile la nascita di un figlio geneticamente riconducibile ad entrambi i componenti della coppia. Anche tenendo conto delle diversità che caratterizzano dette tecniche, è, infatti, certo che l’impossibilità di formare una famiglia con figli insieme al proprio partner, mediante il ricorso alla PMA di tipo eterologo, possa incidere negativamente, in misura anche rilevante, sulla salute della coppia, nell’accezione che al relativo diritto deve essere data, secondo quanto sopra esposto.

In coerenza con questa nozione di diritto alla salute, deve essere, quindi, ribadito che, «per giurisprudenza costante, gli atti dispositivi del proprio corpo, quando rivolti alla tutela della salute, devono ritenersi leciti» (sentenza n. 161 del 1985), sempre che non siano lesi altri interessi costituzionali” (Corte costituzionale, sentenza n. 162 del 2014).

Trattandosi quindi di prestazione riconducibile a una pluralità di beni costituzionali – libertà di autodeterminazione e diritto alla salute – né il legislatore né, a maggior ragione, l’autorità amministrativa possono ostacolarne l’esercizio o condizionarne in via assoluta, la realizzazione, ponendo a carico degli interessati l’intero costo della stessa, al di fuori di ogni valutazione e senza alcun contemperamento con l’eventuale limitatezza delle risorse finanziarie.

In ogni caso, l’ipotizzata carenza di risorse non potrebbe comunque determinare il completo sacrificio delle posizioni giuridiche dei soggetti che, in possesso dei prescritti requisiti (cfr. il punto 11.1 del considerato in diritto della sentenza n. 162 del 2014 della Corte costituzionale), volessero ricorrere alla procedura di PMA eterologa, considerato che il nucleo essenziale di un diritto fondamentale, qual è quello alla salute, cui la predetta prestazione va ricondotta, non può giammai essere posto in discussione, pur in presenza di situazioni congiunturali particolarmente negative (c.d. diritti finanziariamente condizionati: cfr., tra le altre, Corte costituzionale, sentenze n. 248 del 2011 e n. 432 del 2005).

3.2. Ad abundantiam va altresì evidenziato come il trattamento deteriore riservato alla PMA di tipo eterologo appare illegittimo anche per violazione del canone di ragionevolezza, attesa la riconducibilità di questa allo stesso genus della PMA di tipo omologo, assoggettata invece al pagamento del solo ticket.

Difatti, le differenze tra le due procedure non rappresentano un elemento di selezione idoneo a giustificare il richiamato diverso trattamento, vista la loro sostanziale omogeneità derivante dalla comune assoggettabilità all’art. 7 della legge n. 40 del 2004, che fonda le Linee guida emanate dal Ministro della salute, contenenti l’indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita (sull’appartenenza al medesimo genus delle due tipologie di PMA, cfr. Corte costituzionale n. 162 del 2014, punto 11.1 del considerato in diritto; altresì, T.A.R. Veneto, III, 8 maggio 2015, n. 501).

In tal senso va richiamato un precedente della stessa Corte costituzionale che, pur in presenza di prestazioni facoltative e non essenziali, ha chiarito che il legislatore statale o regionale – quindi, a fortiori, l’amministrazione – non può introdurre regimi differenziati in assenza di una causa normativa razionale o non arbitraria (Corte costituzionale, sentenza n. 432 del 2005). Nello stesso senso, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto irragionevole l’applicazione, solo in relazione alla PMA di tipo eterologo, il limite di età di 43 anni per la donna, allorquando per la PMA di tipo omologo il limite è stato stabilito in 50 anni (T.A.R. Veneto, III, 8 maggio 2015, n. 501).

3.3. Di conseguenza, vanno dichiarate illegittime le deliberazioni regionali impugnate nella parte in cui si è stabilito di porre a carico degli assistiti il costo delle prestazioni per la PMA di tipo eterologo, unitamente alla previsione delle relative tariffe.

4. Si può a questo punto passare all’esame delle censure che prospettano l’illegittimità della decisione regionale di sospendere le procedure per il rilascio di nuove autorizzazioni e accreditamenti ai Centri che intendono svolgere le attività di procreazione medicalmente assistita; le stesse sono infondate.

4.1. L’Associazione ricorrente assume l’illegittimità della sospensione delle procedure di nuove autorizzazioni e accreditamenti, giacché si verrebbe a determinare una restrizione dell’offerta di prestazioni sanitarie nell’ambito della PMA. Tuttavia tale asserzione non viene supportata attraverso dei dati che possano dimostrarne il fondamento.

Tale sospensione, invero, appare necessaria per consentire di adeguare gli standard operativi e le tecniche di effettuazione della PMA alle più moderne tecnologie e di adattare le procedure anche alla luce del recente riconoscimento della possibilità di ricorrere alla PMA di tipo eterologo.

Oltretutto, la difesa regionale ha evidenziato come i Centri di PMA operanti nella Regione Lombardia rappresentano il 16,3% di quelli presenti a livello nazionale e sono più numerosi che in altre Regioni; inoltre il blocco delle nuove autorizzazioni, oltre ad essere a tempo determinato, non riguarda i procedimenti già avviati e quindi ha un impatto meno rilevante di quanto paventato – in maniera apodittica – dalla ricorrente.

4.2. Ciò determina il rigetto della censura.

5. Infine appare opportuno evidenziare, come chiarito anche dalla difesa regionale, che il dubbio prospettato dalla ricorrente in relazione alla parte della Delibera del 12 settembre 2014 che sembrerebbe impedire l’accesso alla procedura di PMA eterologa alle coppie in cui in cui entrambi i componenti siano affetti da sterilità o infertilità, va risolto nel senso che anche in tale evenienza si può ricorrere alla fecondazione assistita, diversamente prospettandosi dubbi in ordine alla legittimità della richiamata prescrizione, atteso che dalla legge n. 40 del 2004 si ricava chiaramente siffatta prerogativa (artt. 4, comma 1, e 5; cfr., altresì, Corte costituzionale, sentenza n. 96 del 2015).

6. In conclusione, il ricorso va accolto nella parte in cui si assume l’illegittimità della decisione della Regione Lombardia di porre a carico degli assistiti il costo delle prestazioni per la PMA di tipo eterologo e ne ha stabilito le relative tariffe, cui consegue l’annullamento, in parte qua, delle delibere della Giunta Regionale della Lombardia del 12 settembre 2014, n. X/2344 e del 7 novembre 2014, n. X/2611; lo respinge per il resto.

7. In relazione alla natura della controversia e all’andamento complessivo della stessa, le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, in parte accoglie e in parte respinge il ricorso indicato in epigrafe, secondo quanto specificato in motivazione.

Spese compensate.